Il diritto di sciogliere la comunione è un diritto potestativo che si esplica nel diritto di ciascun partecipante di ottenere il bene in natura, salvo che gli stessi immobili non siano comodamente divisibili.
Il principio è sancito sia dall’articolo 718 c.c. per quanto riguarda la divisione ereditaria, sia dall’articolo 1114 c.c. per quanto riguarda la divisione della proprietà comune.
L’articolo 720 c.c. stabilisce che: “Se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene, e la divisione dell’intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto”.
Secondo il dettame della norma l’indivisibilità o la disagevole divisibilità (cosiddetta incomoda divisibilità) integra un’eccezione al diritto di ciascun partecipante di ottenere i beni in natura: sull’interpretazione della incomoda divisibilità la Cassazione si è espressa con numerose sentenze, pur dovendosi tenere conto che l’accertamento è un giudizio di fatto insindacabile dal giudice di legittimità, se non per vizi della motivazione ovvero omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio.
Un orientamento più datato della Suprema Corte restringe l’ambito della divisibilità in natura limitandola ai casi in cui si perda “il minimo possibile dell’originario valore indotto dall’essere elemento di una entità unitaria” senza che ciò debba comportare “particolari limitazioni funzionali o condizionamenti, con riguardo alla possibilità di attribuire a ciascun condividente un’entità autonoma e funzionale, ed evitando, per contro, che rimanga in qualche modo pregiudicato l’originario valore del cespite, ovvero che ai partecipanti vengano assegnate porzioni inidonee alla funzione economica dell’intero” (Cass. 07/05/1987 n. 4233).
Ancora recentemente la Cassazione ha ritenuto la sussistenza della incomoda divisibilità anche nell’ipotesi in cui il frazionamento determini uno squilibrio all’omogeneità delle porzioni con alterazione della originaria uguaglianza delle quote (Cass. 11/07/2011 n. 15212).
Tuttavia detto orientamento deve ritenersi minoritario o comunque recessivo. Ed infatti secondo un diverso orientamento, cui ha aderito la più recente giurisprudenza, la incomoda divisibilità costituisce una deroga eccezionale al principio di assegnazione in natura e “può ritenersi legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dall’irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dall’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso” (Cass. 22833/2006; Cass. 15380/2005; Cass. 14577/2012; Cass. 16918/2015 e Cass. 12498/2007).
Si segnalano altre due sentenze recentissime con cui la Cassazione ha ribadito che deve essere fatta prevalere la natura eccezionale dell’articolo 720 c.c. rispetto al principio generale di cui all’articolo 718 c.c. (Cass. 23/04/2018, n. 9979 e Cass. 27/11/2017, n. 28230). In quest’ultima sentenza, la Suprema Corte si è espressa sulla divisione di un terreno rilevando che i giudici di prime cure con tipico apprezzamento in fatto correttamente e in coerenza con gli elaborati peritali avevano ritenuto il bene comodamente divisibile senza che fosse compromessa la sua redditività.