La Suprema Corte in un recente pronunciamento del 2023 (7 agosto 2023 n. 23989) riconferma quanto già dalla stessa statuito in tema di diritto di prelazione in capo alle società agricole di persone (Cass. 5 marzo 2019 n. 6302), con un orientamento che ormai si conferma costante ed aderente al dettato normativo.
Il legislatore del 2004 con il decreto legislativo n. 99 ha introdotto all’art. 2 comma 3 il riconoscimento solo alle società agricole di persone con almeno la metà dei soci in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall’iscrizione al registro delle imprese, sezione speciale, di cui all’articolo 2288 c.c. e s.s. il diritto di prelazione o di riscatto previsto sia per l’affittuario (articolo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590) sia per il proprietario confinante (articolo 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817).
Già nel 2019, con la richiamata sentenza, la Suprema Corte sanciva l’indispensabilità dell’indicazione accanto al nominativo dei soci della qualifica di coltivatore diretto nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’art. 2188 c.c., volta a dimostrare il possesso dei requisiti in capo ai soci ai sensi dell’art. 2 comma 3 dlgs 44/99
La norma è derogativa rispetto al principio stabilito dall’art. 2193 c.c., che regola in generale l’efficacia dell’iscrizione nel registro delle imprese e che consente di provare che i terzi abbiano avuto aliunde conoscenza dei fatti per i quali è prevista l’iscrizione: invece nella norma che si commenta il legislatore ha adottato la scelta rigorosa di far desumere la prova del possesso dei requisiti di coltivatore diretto solo dall’iscrizione nel registro delle imprese nell’intento – dice la Cassazione- di coniugare il riconoscimento dello sviluppo della forma societaria in agricoltura con la tutela del terzo acquirente, senza che siano ammesse interpretazioni estensive.
Viene esclusa, pertanto, nella recente sentenza 2023 cit. che abbiano alcuna validità atti diversi quali ad esempio atto di modifica della statuto societario dal quale, pure, risultava la qualifica di coltivatore diretto “volendo il legislatore riferirsi all’iscrizione di un atto che abbia lo scopo di evidenziare tale qualità dei soci e non ad un atto avente un diverso oggetto, che venga, dunque, iscritto ed indicato con riferimento ad esso, in cui semplicemente risulti indicata quella qualità”.
Concludendo la Corte afferma che “Alla luce di tali principi, l’accertamento della qualifica di coltivatore diretto ad almeno la metà dei soci deve avvenire con rigide modalità, previste ex lege, con efficacia erga omnes, non potendosi attribuire valenza equipollente ad un atto notarile depositato presso la Camera di Commercio, per quanto regolarmente iscritto”.