È noto che l’impresa agricola non è soggetta a fallimento, ai sensi dell’articolo 1 regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, che prevede che solo le imprese commerciali possano subire il fallimento con esclusione degli enti pubblici. L’impresa agricola, ai fini della sottrazione al fallimento, deve configurarsi nell’alveo della norma di cui all’articolo 2135 codice civile, come modificato dall’articolo 11 d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, che ne ha delineato l’ambito specificando, al comma 1, che “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse” ed al comma 2 che “Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”. Il comma 3 dello stesso articolo, invece individua le attività connesse ovvero tutte quelle attività “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”. La Corte di Cassazione è intervenuta, interpretando le due norme e precisando che un’impresa agricola che svolga nel contempo anche un’attività commerciale non può essere sottratta al fallimento (tra le altre Cassazione 12215/2012), principio anche ribadito in un recente pronunciamento (Cassazione 21 gennaio 2021 n. 1049): incombe sull’imprenditore agricolo l’onere di dimostrare che l’attività commerciale rientra, invece, nell’alveo delle attività di cui all’articolo 2135 codice civile. In particolare, se per l’accertamento della fallibilità dell’imprenditore agricolo e per dimostrare i presupposti di cui all’articolo 1 Legge fallimentare comma 1, spetta a chi chiede la dichiarazione di fallimento provare l’esistenza anche di un’attività commerciale che si affianchi all’attività agricola, chi invochi l’esenzione del fallimento deve dimostrare che detta attività commerciale può essere ricondotta nell’ambito dell’articolo 2135 codice civile comma 3. Ciò in applicazione ai principi in tema di onere della prova stabiliti dall’articolo 2697 codice civile comma 2 e per il generale principio di vicinanza della prova. La prova necessaria ad ottenere l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento deve essere tesa a dimostrare il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo, e la proporzione tra le attività connesse di cui all’articolo 2135, comma 3, codice civile rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, senza che le prime assumano rilievo prevalente. Nel caso di cui alla recente sentenza della Cassazione (Cass. 1049/2021) in presenza di un’attività di floricoltura, piante floricole ed ornamentali, i giudici di merito con giudizio insindacabile in sede di legittimità avevano ritenuto che la commercializzazione riguardasse prodotti non ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo e, dunque, l’impresa poteva essere soggetta a fallimento.  Si ribadisce, quindi, che in presenza di un’attività connessa all’impresa agricola e di svolgimento di un ciclo biologico di coltivazione collegato con il fondo, l’esclusione dal fallimento non consegue di per sé, ma deriva dal fatto che tale commercializzazione riguardi prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo piuttosto che in un altro modo. Pertanto la Suprema Corte, nel caso di cui si è occupata, ha confermato la decisione impugnata, che aveva negato la qualità di imprenditore agricolo alla ricorrente in mancanza di prova che le attività di conservazione e commercializzazione da lei esercitate riguardassero prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del proprio fondo.