La gestione dei beni comuni costituisce spesso motivo di conflitto, con insorgenza di dinamiche di contrasto tra i comunisti. Il codice civile, articolo 1105 primo comma, specifica che tra i comproprietari tutti hanno diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune. La stessa norma stabilisce che, per gli atti di ordinaria manutenzione, valgono le deliberazioni di maggioranza calcolata secondo le quote, sempre che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati (per gli atti che superino l’ordinaria manutenzione occorre la maggioranza di due terzi delle quote ai sensi dell’articolo 1108 c.c.).

In caso di conflitto tra i comproprietari, di stallo o di impossibilità di raggiungere una maggioranza o ancora di non esecuzione della deliberazione assunta, il comma 4 dell’articolo 1105 c.c. prevede che ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria e questa provvede in camera di consiglio, nominando se del caso anche un amministratore.

Detta norma non può essere strumento utilizzabile nel caso di opposizione della maggioranza all’azione di uno dei comproprietari; quest’ultimo, infatti, può agire anche per gli altri, presumendosi il consenso di tutti all’azione di uno, salvo appunto il dissenso espresso della maggioranza dei comproprietari.

La giurisprudenza sul punto con indirizzo consolidato ha ritenuto valido un contratto di locazione/affitto sottoscritto da un comproprietario e legittima un’azione promossa da uno dei comproprietari relativa, ad esempio, alla risoluzione del contratto stesso, al rilascio dei beni, ad un’azione di sfratto, eccetera, atti che rientrano nell’ordinaria amministrazione, sulla base del principio del reciproco rapporto di rappresentanza, salva la possibilità, come detto, dei comproprietari che rappresentino una maggioranza di opporsi.

Nell’ipotesi sopra rappresentata il ricorso al giudice in sede di volontaria giurisdizione ai sensi dell’articolo 1105 comma 4 non è ammissibile, in quanto non si tratta di stallo delle decisioni, essendo esplicitato il dissenso.

Invece lo strumento diventa legittimo laddove il conflitto di interessi non può essere superato con il criterio della maggioranza economica in presenza di uguaglianza delle rispettive quote, come ha specificato anche la Cassazione (Cassazione civile sez. III, 13/01/2009, n. 480).

In altri termini in caso di conflitto ed inerzia nelle decisioni dei comproprietari lo strumento da utilizzare è il ricorso all’autorità giudiziaria tramite volontaria giurisdizione ai sensi dell’articolo 1105 comma 4 c.c., ovvero quando sussiste un dissenso che si verifica tra soci di pari quota (nella misura del 50% e 50%) e nei casi in cui non si formi una maggioranza ai fini dell’azione dei provvedimenti necessari all’amministrazione della cosa comune e, quindi, si renda necessario che il giudice adotti gli opportuni provvedimenti ai sensi della norma indicata (Cass. 18/06/2020, n. 11802).

Nei casi sopra specificati la Suprema Corte ha specificato come detta azione sia imprescindibile per la gestione della cosa comune, dovendo il partecipante rivolgersi al giudice in sede di volontaria giurisdizione con preclusione al medesimo partecipante di rivolgersi al giudice in sede di contenzioso ordinario.