È noto che ai fini del possesso per usucapione la prova degli elementi costitutivi grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva.
La problematica che si pone spesso in campo agricolo riguarda la coltivazione dei fondi e se questo elemento, una volta provato, integri un requisito utile per usucapire un bene.
In primis vale osservare che naturalmente la presenza di un titolo che giustifichi la coltivazione non può consentire l’acquisto per usucapione, fatto salvo che colui che intende usucapire un bene provi l’interversione del possesso ai sensi dell’articolo 1164 c.c. oltre agli altri requisiti richiesti dall’articolo 1158 c.c.
Il principio generale da applicarsi è il seguente: chi chiede l’accertamento della proprietà per usucapione deve provare un comportamento continuo ed ininterrotto per oltre vent’anni tale da manifestare l’intenzione di esercitare il potere sulla cosa; tale potere deve essere corrispondente a quello del proprietario ed esplicitarsi come una signoria sulla cosa che permanga per tutto il tempo indispensabile per usucapire, senza interruzione, sia per quanto riguarda l’animus che il corpus. È da escludere che la mera tolleranza del proprietario possa, invece, far integrare il suddetto requisito.
Quanto alla tolleranza, la stessa è da ravvisarsi tutte le volte che il godimento della cosa, lungi dal rivelare l’intenzione del soggetto di svolgere un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, tragga origine da spirito di condiscendenza (tra le tante Cassazione, Sez. II, 14 febbraio 2017 n. 3898, Cassazione, Sez. II, 2 settembre 2015 n. 17459).
Alla luce anche di queste considerazioni recentemente la Cassazione (Cassazione 5 marzo 2020 n. 6123) ha specificato che ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione la coltivazione del fondo non è sufficiente a configurare il possesso ad usucapionem, perché non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere.
La sentenza suindicata si pone in linea con un recente indirizzo (Cassazione 17376/2019 e 18215/2013) che ha superato i precedenti difformi, con il quale viene ribadito come la coltivazione del fondo non sia di per sé manifestazione di esercizio sufficiente al diritto di proprietà.
Quello che occorre invece è che tale attività materiale corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà venga accertata tramite indizi univoci volti ad attestare che la stessa sia svolta uti dominus.
L’accertamento di tali elementi è demandato al giudice di merito e realizza un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento discrezionale, insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logica e congruamente motivata. Tale accertamento deve valutare i poteri nel complesso esercitati sul bene ed anche come l’attività di chi pretende di essere possessore si correla con il proprietario.
Nel caso su cui si è espressa dalla Corte di Cassazione il comportamento del proprietario era stato valutato dal giudice di merito tale da renderlo incompatibile con la sussistenza dell’altrui possesso sul fondo e, pertanto, sono stati ritenuti insussistenti gli elementi fondanti l’usucapione.