La Suprema Corte Cass. S.U. 15/11/2022 n. 33645 è intervenuta a dirimere un annoso contrasto in tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di beni immobili, su cui si erano espresse, con due divergenti indirizzi giurisprudenziali, la Seconda e Terza Sezione della Corte di Cassazione.
Vi è da precisare che tali distinti indirizzi ed il caso su cui si sono espresse le Sezioni Unite non riguardano la fattispecie in cui il titolo è cessato, per la quale si applica pacificamente l’articolo 1591 c.c., bensì l’ipotesi in cui l’occupazione abusiva è caratterizzata dall’originario difetto del titolo, per la quale si applica il regime di responsabilità extracontrattuale di cui all’articolo 2043 c.c.
Il nucleo delle distinte interpretazioni inerisce l’inquadramento del danno da occupazione senza titolo “in re ipsa” (teoria normativa o causale) svolta dai Giudici.
Da un lato il danno viene fatto discendere direttamente dalla natura fruttifera del bene occupato abusivamente e, dunque, dall’impedimento a ricavarne un’utilità per la preclusione all’uso anche solo potenziale della cosa, senza che sia necessaria alcuna prova ulteriore e sempre fatta salva la prova contraria.
Dall’altro l’alleggerimento dell’onere probatorio con ammissione della prova per presunzioni non può includere l’esonero dell’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia deve essere provata l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto; ciò in quanto (teoria causale) l’evento danno non può essere confuso con il danno conseguente all’impossessamento senza titolo, che deve essere provato.
Le Sezioni Unite, dopo avere analizzato le sentenze che hanno preceduto il pronunciamento, arrivano ad una tesi mediana, stabilendo il principio secondo cui nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo il “fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita” “è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta”.
Tale danno da perdita subita costituito dal godimento perso è presunto e qualora “non può essere provato nel suo preciso ammontare può essere liquidato dal Giudice con valutazione equitativa se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato”.
Distinta è invece l’ipotesi in cui la domanda di risarcimento del danno riguardi il mancato guadagno (lucro cessante) nel qual caso il fatto costitutivo “è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato”.
In tale differenziazione la Corte specifica che, una volta che si quantifichi equitativamente il godimento perduto con il canone locativo di mercato, posto che il corrispettivo di una locazione ai correnti valori rientra nelle perdite subite, nella domanda risarcitoria per danni da mancato guadagno “l’onere di allegazione riguarda gli specifici pregiudizi – fra i quali si possono identificare non solo le occasioni perse di vendita a un prezzo più conveniente rispetto a quello di mercato, ma anche le mancate locazioni a un canone superiore a quello di mercato”, pur con la considerazione che l’onus probandi può essere assolto mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o con le presunzioni semplici.