La legislazione in materia agraria è stata per lungo tempo sostanzialmente improntata sulla figura del coltivatore diretto e sulla coltivazione manuale e personale, si pensi alla normativa relativa ai contratti agrari, di cui alla legge 3 maggio 1982 n. 203, o alla ancora più datata normativa in tema di prelazione agraria, di cui alle leggi 26 maggio 1965 n. 590 e 14 agosto 1971 n. 817.
E tuttavia la nuova realtà economica ha richiesto sempre più spesso il ricorso allo strumento societario anche in materia agraria. La giurisprudenza di legittimità ha recepito questa esigenza di adeguamento, ritenendo equiparate la impresa familiare coltivatrice, di cui agli articoli 48 l.n. 203/82 e 230 bis c.c. alla società semplice (ex plurimis: Cass. 2013 n. 22732, Cass. 2006 n. 1099).
Anche il legislatore ha proceduto con numerosi interventi, pur non coordinati, volti a dare risalto alla figura societaria.
Ricordiamo che l’articolo 2135 c.c. è stato riformulato con il d.lgs n. 228 del 2001, che ne ha innovato la pregressa nozione di imprenditore agricolo allo scopo di rafforzarne la posizione soprattutto in relazione alle attività connesse, successivamente con il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 come modificato dal successivo decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 101 (articolo 1) è stata creata la figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), ben distinta per i requisiti indicati dalla figura di coltivatore diretto.
Nello stesso tempo il già citato decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 ha configurato all’articolo 2, commi 1 e 2, un nuovo tipo di società con denominazione obbligatoria agricola, avente ad oggetto statutario l’esercizio esclusivo di una delle attività menzionate nel riformato articolo 2135 c.c.
Dette società divengono società agricole e possono essere equiparate all’IAP (articolo 1 comma 3) con le conseguenti agevolazioni se in caso di società di persone almeno un socio possieda la qualifica di IAP, per le Sas il socio accomandatario, in caso di società di capitali o cooperative almeno un amministratore, che sia anche socio per le società cooperative, sia in possesso della medesima qualifica.
Le società agricole possono anche, ai sensi dell’articolo 2 comma 4-bis, essere equiparate al coltivatore diretto persona fisica, con le conseguenti agevolazioni se le società di persone abbiano nella compagine sociale almeno un socio coltivatore diretto, mentre le società di capitali devono avere almeno un amministratore coltivatore diretto, e le società cooperative almeno un amministratore socio coltivatore diretto, iscritti nella relativa gestione previdenziale e assistenziale. Viene, poi, introdotta una novità di grande rilievo all’articolo 2 comma 3, ovvero il riconoscimento solo alle società agricole di persone con almeno la metà dei soci in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall’iscrizione al registro delle imprese, sezione speciale, di cui all’articolo 2288 c.c. e s.s. il diritto di prelazione o di riscatto previsto sia per l’affittuario (articolo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590) sia per il proprietario confinante (articolo 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817). Anche per queste società valgono le agevolazioni per i coltivatori diretti.
L’indispensabilità del requisito per l’esercizio del diritto da parte di una società agricola di persone, ex articolo 2, comma 3 del d.lgs. n. 99 del 2004, da ravvisarsi nell’indicazione del nominativo dei soci aventi i requisiti per la qualifica di coltivatore diretto nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 c.c. e s.s. viene ribadito dalla Cassazione (5 marzo 2019, n. 6302).
Si osserva che la condizione dell’iscrizione dei soci coltivatori diretti nel registro speciale delle imprese, posta a tutela del terzo acquirente, è del tutto dicotomica rispetto alla disciplina della prelazione in capo ai soggetti coltivatori diretti siano essi affittuari o proprietari confinanti, per i quali viene richiesta la prova della diretta coltivazione e della capacità lavorativa senza che registri o iscrizioni (ad esempio SCAU) abbiano un valore diverso da quello presuntivo.
Ricordiamo che il diritto di prelazione, di cui al solo articolo 8 l.n. 590/65, spetta anche alle cooperative agricole di braccianti ai sensi dell’articolo 16 Legge 14 agosto 1971, n. 817.
Per le cooperative di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo del 18 maggio 2001, n. 228, è prevista la prelazione – sia ex art. 8 l.n. 590/65 che ex art. 7 l.n. 517/71, qualora almeno la metà degli amministratori e dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui agli articoli 2188 e seguenti del codice civile, (articolo 7-ter del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, introdotto dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116)
Non sembra, invece, sia estendibile alle società, il nuovo diritto di prelazione, previsto a favore dei proprietari confinanti IAP se iscritti nella previdenza agricola in caso di mancato insediamento di coltivatori diretti affittuari sul fondo offerto in vendita (l’articolo 2-bis al secondo comma dell’articolo 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 introdotto dall’articolo 1 terzo comma della legge 28 luglio 2016, n. 154), posto che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza, il diritto di prelazione e riscatto agrari costituiscono ipotesi tassative, non suscettibili di interpretazione estensiva, in quanto limitativi della libertà di circolazione.
Per quanto riguarda la normativa sui contratti agrari, si osserva che la recente equiparazione “ai coltivatori diretti, ai fini della presente legge, anche (de)gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola” (comma aggiunto all’articolo 7 della legge 203/82 dalla legge finanziaria 27 dicembre 2017 n. 205) renderebbe sensato ritenere che anche alle società vada applicata la normativa generale e non la normativa residuale per non coltivatori diretti, di cui all’articolo 23 della l.n. 203/82.